Graphic Version 1.0 by Gilly Sephira - 2008

La Scena Industriale Italiana (tratto dalla fanzine "Ristampe Morali" #1, 1987)

Tracciare una storia ed una mappa del suono e della cultura industriale in Italia è impresa quanto mai ardua e pericolosa, ma confortante. Ardua perché si rischia di non farsi capire [o di non aver capito], pericolosa per le eventuali lacune, confortante perché la scena c’è ed è valida.
Mi appresto a scrivere questo articolo con il mio solito difetto della foga di dire tutto, di esser chiaro, consapevole che questo scritto non vuole essere esaustivo, proprio in virtù del fatto che la scena è in movimento e suscettibile di cambiamenti, brusche virate, ripensamenti.
Chiedo scusa fin da ora per eventuali dimenticanze, errori o discordanze su quanto da me trattato. Mia intenzione principale è suscitare attenzione ed interesse su chi è digiuno nei confronti di questa scena ed instaurare un eventuale dibattito su chi già la conosce o addirittura ne fa parte. Ringrazio Vittorio per lo spazio ed il tempo concessomi!

INDUSTRIALE…MA COS’E’? UN PRODOTTO DI FABBRICA?

Già, colpisce questa definizione che non dice tutto ma individua una sola parte di questo universo sommerso, quella che è in effetti scaturita dal trovarsi immersi in un paesaggio industriale, quello delle nostre metropoli, ma anche le infiltrazioni nelle campagne: solitudine, angoscia, straniamento, isteria, smarrimento psichico, violenza, perdita di valori e negazione degli stessi, paura, uniche referenze tangibili profitto, falsità moda ed insomma un susseguirsi di sensazioni che variano da persona a persona, ma tutte sensibili e con occhi ed orecchie ben aperti.

Questo termine INDUSTRIALE [od anche post, in quanto ormai è tutto così veloce che viene definito in tale modo sintomo anche di un non sentirsi più sicuri e tentati ad approfondire un certo discorso, quasi ad aver talmente paura del fuoco che traiamo la mano ancor prima di averla introdotta!] viene usato per comodità, sfruttando il dato storico che è esploso nel periodo post-industriale, ma io preferisco, per essere più preciso, chiamarlo musica non convenzionale, arte sonora [anche se alcuni aborriscono il termine arte in quanto non più rappresentante il suo vero ed originale significato diventato ormai contenitore vuoto e pretenzioso inglobato nel sistema del profitto e dell’idiozia]. Due cose ancora…dimenticavo! Sul termine industriale. Questo vive una contraddizione di fondo [positiva]: tutte le produzioni sono tutt’altro che forgiate in modo industriale anzi sono prodotte spesso artigianalmente ed in modo direi estremamente “umano”, con cura, con passione, con interesse… in una parola con sincerità. La seconda è una curiosità: se vi capita di passare Oltremanica, oltre ad evitare con cura i cetrioli [!?] non chiedete nei negozi qualcosa di industrial music, loro strabuzzeranno gli occhi prendendovi per degli idioti: questo termine in Gran Bretagna non è usato!

Facendo un po’ di storia il tutto si potrebbe dichiarare nato sull’onda del punk ce in effetti è stato generatore e stimolo per molte iniziative e correnti di pensiero giovanile di là a venire.
Il non sapere suonare ma il volerlo fare lo stesso perché spinti da impulsi sinceri, dal bisogno di dire delle cose che si comprimevano dentro e ne uscivano sanguinanti di urla e di rumore, il rifiutare la tecnica anche se a portata di mano, il ripudiare l’arte screditata, il desiderio del controllo totale e da qui l’autoproduzione, quindi anche una coscienza politica, che portava tutta questa cultura ad avere un principio globale nell’agire che, secondo me, è la garanzia e l’anima, l’arma vincente di una forma di espressione pura e sincera, mai al di sopra o al di fuori di essa.
Molti indicano come gruppo promotore i Throbbing Gristle, ma perché ci dimentichiamo sempre i Cabaret Voltaire e da qui in dieci anni un proliferare in tutto il mondo di gruppi, etichette, iniziative, eventi, individui isolati che a livelli più o meno “alti” producevano dischi, fanzines e soprattutto tapes spessissimo solo attraverso i canali postali e di libero e frenetico scambio.
L’inizio si potrebbe e dovrebbe spostare a certi gruppi sperimentali degli anni ’60 e ’70 o alla musica concreta ed alle ricerche dei compositori contemporanei di tutto il XX° secolo: nomi come Kagel, Stockhausen, Webenn, Cage, Xenakis, Berio etc, qui però in un contesto più accademico e riconosciuto, ma desidero anteporre la prima scintilla ai FUTURISTI con la loro musica bruitista o rumorista [Luigi Russolo con i suoi intonarumori] ed ai DADAISTI [Kurt Schwitters e le sue UR-SONATE].

Un’ultima precisazione prima di addentrarmi nel nocciolo del tema dell’articolo; questa sorta di cenni storico-tecnici li desidero concludere affermando che esistono vari filoni in questo calderone stimolante della musica non convenzionale. Vi sono i collages di stampo dadaista, miscelazioni di fonti sonore disparate, elettronica dura o minimale, registrazioni di rumori o produzione di essi vicini alle rappresentazioni concrete, suoni crudi ed efferatezze sono re accompagnate da immagini violente accanto a performance dolcissime, vi è l’industriale propriamente detto dove si possono sentire vere e proprie sinfonie di macchinari [un nome per tutti il francese Vivenza], ambientazioni sonore, musica per arredare, sproloqui, cut-up radiofonici e non ed ogni sorta di invenzione ed idea: con tutto ciò individuo il primo grande gruppo quello del “Ho un’idea! Desidererei realizzarla. Ebbene facciamolo!” in cui vi è sperimentazione, ma anche gioco [nell’accezione più alta del termine], desideri di intraprendere strade nuove, conoscere gente e discutere. Il tutto sottinteso da una grande voglia innovatrice e di denuncia delle situazioni che non vanno [anche negando questo istinto positivista, autodistruggendosi…c’è una forte dose di nichilismo nella corrente industriale, ma non autocompiacente e fine a sé stesso, ma che possa portare verso qualcosa], una spinta ed una necessità nel tentativo di ribaltare la logica che sta dietro a questo sistema incancrenito, trovare altri modi per vivere.

Il secondo gruppo è quello che sottintende a questo suono verso la vena evocativa e rituale che si cementa su basi di stampo esoterico: è quello forse più facile alla strumentalizzazione ed alla penetrazione anche perché purtroppo alcuni dei suoi fautori trattano il prossimo con troppa aria di superiorità e sufficienza [questa è un’opinione personale nata dall’esperienza che ho avuto con alcune persone, non voglio generalizzare, anzi sottolineo la bontà di intenti e la serietà di molta gente operante in questa frangia del suono non convenzionale].

Un terzo gruppo si riferisce a quella sperimentazione colta senza puzze sotto il naso che volentieri ha contatti con il mondo della sperimentazione home-made e spontaneo e di tutto il cross-over che ne viene generato.

Non voglio dimenticare l’importanza della sperimentazione vocale con la poesia sonora e concreta [il nostro paese è da tempo all’avanguardia in questo settore] ed il cordone ombelicale che lega la musica industriale con la MAIL-ART e la copy-art, sebbene queste siano, proprio per loro natura, espressioni visivo-letterarie più che altro. Ciò mi suggerisce di ricordare che la scena industriale non è solo musica, sebbene questa sia la parte preponderante e più conosciuta, ma qua [ad impulsi liberi e sinceri!], basti ricordare che i T.G. prima erano un gruppo di performer che si faceva chiamare COUM TRANSMISSION [avevo smesso da poco i calzoni corti mentre loro si esibivano in quel di Milano] e sfogliare riviste come la spagnola PARTICULAR MOTORS, la belga FORCE MENTAL, la statunitense RE-SEARCH o la nostra CONSTRICTOR.

Stop.
Ora verremo al succo dell’articolo, ma questa introduzione mi è parsa doverosa ed anche utile, onde evitare di fare un asettico articolo con una mera lista di nomi.

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